Decreto dignità, in Veneto coinvolti 80mila lavoratori. Donazzan: “Medaglia a due facce”

Secondo i ricercatori di Veneto Lavoro, se il decreto dignità oggi fosse legge, riguarderebbe circa 80 mila rapporti di lavoro, su un totale di 617 mila rapporti a tempo determinato e di somministrazione attivi nel 2017. La stima di 80 mila è ottenuta proiettando le novità legislative sulla platea dei 617 mila potenziali destinatari (contratti a termine e contratti di somministrazione).

A conti fatti – calcola Veneto Lavoro – il decreto dignità avrebbe effetti diretti su circa il 26% del lavoro a termine presente in Veneto nel 2017. Il decreto non influirebbe invece sul 74% del lavoro a tempo determinato o in somministrazione registrato in Veneto, in quanto trattasi di contratti di durata inferiore a un anno, o che riguardano operai agricoli o la pubblica amministrazione, o relativi al lavoro stagionale, per ora escluso dalle modifiche introdotte dal governo.

“Il decreto dignità è come una medaglia a due facce – commenta l’assessore regionale al lavoro, Elena Donazzan – Il Veneto monitorerà passo passo l’impatto di un provvedimento che, se entrerà in vigore nella formulazione attuale, comporterà una significativa modifica del mercato del lavoro”.

“Le ricadute del provvedimento ‘dignità’, che allo stato attuale un quarto dei contratti di lavoro a tempo determinato in essere nella nostra regione, potrebbero essere diametralmente opposte – sottolinea l’assessore – Se l’impatto fosse quello auspicato dal governo, ci troveremmo di fronte a maggior apprendistato o alla preferenza, da parte delle aziende, di contratti a tempo indeterminato e quindi più stabili; se così fosse, aumenterebbe la forza lavoro interna all’azienda”.

“Ma se gli esiti fossero quelli preconizzati dal mondo imprenditoriale – prosegue l’assessore – la riduzione del tempo massimo (da 36 a 24 mesi) per un contratto a tempo determinato, potrebbe produrre un turnover spinto, maggiore esternalizzazione di comodo (attraverso cooperative o società altre) e quindi maggiore precarietà”.

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