A Schio, in occasione del Giorno della memoria, si può assistere allo spettacolo di teatro-danza “76847 C’è un punto della terra”, che si terrà, venerdì 29 gennaio alle ore 21.00 al Lanificio Conte_Spazio Espositivo.Lo spettacolo, realizzato da Elena Righele della Compagnia Schio Teatro Ottanta, è ispirato all’omonimo libro di Giuliana Tedeschi, ebrea, deportata ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Lo spettacolo di Elena Righele prende avvio da quando Giuliana viene arrestata, strappata dal suo lavoro e dai suoi affetti per essere deportata, con il marito e la suocera, che, malata, viene avviata subito alla camera a gas. Le due figlie, per fortuna, vengono invece messe in salvo.
Nel campo inizia l’inferno, la spersonalizzazione, l’attribuzione di quel numero – 76847 – tatuato sul braccio, che vuole annientare l’umanità del prigioniero. Giuliana viene addetta alla raccolta delle scarpe dei destinati alle camere a gas. Tra brutalità e violenze, riesce a sopravvivere, pur perdendo il marito che muore nella marcia di evacuazione da Auschwitz, e ritorna in Italia dopo la fine della guerra. Per molti anni, Giuliana ha tenuto dentro di sé la sua tragica esperienza, fino a quando, spinta dai suoi allievi scrive un libro per non dimenticare.
Da allora ha svolto un’intensa attività di testimonianza e di memoria della deportazione e della persecuzione nazifasciste. E’ scomparsa a Torino il 28 giugno 2010. “76847” è uno spettacolo moderno, che pone al centro l’espressione corporea e le contaminazioni artistiche di diversi linguaggi teatrali. Rappresentato al Festival di Conegliano ha vinto il premio speciale della Giuria Giovani.
“La giornata del 27 gennaio – sottolinea Roberto Polga, assessore alla cultura – è diventata, anche a seguito della Legge n. 211 del 2000, che l’ha formalmente istituita come Giorno della memoria in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, un momento in cui ognuno di noi deve trovare il tempo di potersi fermare. Spesso, la frenesia del dover fare, tuttavia, mette in ombra il come fare e genera usi distorti e talvolta abusi o forzature nell’inserimento, non sempre coerente, del discorso memoriale legato alla Shoah all’interno di un contesto ben più ampio. Proprio per questo non si è voluto semplicemente fare, bensì indicare, grazie anche a questa proposta, una corretta percezione di quanto è successo, cercando di spostare la percezione dal senso di alterità, che tende a prevalere, al senso di appartenenza. Si considera, infatti, la Shoah come qualcosa di sicuramente enorme e malvagio, ma successo altrove (Auschwitz è la localizzazione spaziale prevalente, ma variamente collocata in Germania, in centro Europa, secondo la categoria del lontano che non ha precise coordinate geografiche), in un altro tempo (vagamente storicizzato), ad altri (gli ebrei,
protagonisti quasi assoluti nella loro dimensione di vittime) e per colpa di altri (i tedeschi o i nazisti, con i quali noi non abbiamo avuto nulla a che fare). In questo spettacolo, la dignità dell’uomo viene così messa in primo piano proprio per superare ciò che spesso con il semplice fare viene percepito e cioè l’estraneità dell’argomento alla nostra vita di cittadini del presente”.