Se alla fine di quest’anno i tagli alla spesa pubblica ottenuti in questa legislatura (2013-2017) ammontano a 30,4 miliardi di euro, le uscite correnti al netto degli interessi sul debito, invece, non hanno invertito la tendenza. Anzi, sono continuate a crescere: + 31,8 miliardi. In altre parole, nonostante la spending review abbia cominciato ad aggredire la spesa, quest’ultima, nel complesso, continua a salire e, come vedremo in seguito, a pagarne il conto sono in buona parte ancora una volta gli italiani.
A dirlo è un’analisi realizzata dall’Ufficio studi della CGIA. “Le uscite correnti al netto degli interessi – segnala il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – continuano ad aumentare, in particolar modo, a causa della spesa pensionistica e delle prestazioni sociali. Se in una fase di crisi economica l’incremento delle misure a sostegno del reddito di chi si trova in difficoltà è più che giustificabile, lo è molto meno quello per le pensioni. Con l’ultima Legge di bilancio, ad esempio, è stata estesa la 14esima mensilità per i pensionati a basso reddito, è stata innalzata la no tax area Irpef per gli under 74 e sono state aperte delle finestre in uscita attraverso l’Ape. Misure che, in larga parte, non prevedono una copertura finanziaria sufficiente”.
Se, però, analizziamo l’andamento dei nostri conti pubblici su un arco temporale medio-lungo, il rigore non è mai venuto meno. “Tra il 2000 e il 2016 – dichiara il Segretario della CGIA Renato Mason – solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno opposto. Ovvero, la spesa primaria è stata inferiore alle entrate. A ulteriore dimostrazione che in questi ultimi decenni l’Italia ha mantenuto l’impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati più pesanti qui da noi che altrove”. Ritornando ai dati elaborati dall’Ufficio studi, alla fine del 2017 il contributo alla riduzione dell’indebitamento netto rispetto al 2013 sarà di 30,4 miliardi di euro. Oltre la metà di questo sforzo, pari a 16,4 miliardi (il 54,1 per cento del totale), verrà richiesto alle Regioni e agli Enti locali. Lo Stato, insomma, comincia a tagliare, ma il sacrificio più importante lo impone alle strutture periferiche, in particolar modo a quelle guidate dai Governatori. E com’era facilmente prevedibile, nonostante in questi ultimi 2 anni il Governo abbia imposto l’obbligo di non aumentare le tasse locali, gli amministratori si sono “difesi” tagliando i servizi e/o aumentando le tariffe che, per loro natura, non contribuiscono ad appesantire la pressione fiscale, anche se hanno un impatto molto negativo sui bilanci difamiglie e imprese. Infatti, tra il 2013 e il 2016 l’andamento delle tariffe regolamentate a livello locale sono aumentate in misura spesso ingiustificata. Se le bollette dell’acqua/fognatura sono “esplose” del 20 per cento circa, il servizio di asporto rifiuti è salito dell’8,4, i trasporti multimodali del 5,5, l’iscrizione alle scuole secondarie del 5,1, le mense scolastiche del 4,2, i biglietti dell’autobus del 3 e quelli dei taxi del 2,8. L’inflazione, invece, in questo triennio è aumentata solo dello 0,2 per cento.