Nuove disposizioni legislative gravano pesantemente sul lavoro quotidiano dei vignaioli e delle loro aziende agricole, colpendo in maniera decisa quelle di piccole e medie dimensioni. Il riferimento va ai registri vitivinicoli, eliminando quelli cartacei trasformandoli in un unico registro digitale.
Solo a nominare la parola burocrazia produce un leggero ma continuo fastidio. Anche in agricoltura, dove si tende a identificarla col tempo sottratto al lavoro “vero”. Eppure questo strumento, almeno in teoria, dovrebbe servire proprio a garantire la qualità delle produzioni. Come mai, allora, la burocrazia è vista con tanta insofferenza dagli agricoltori? Si tratta di scarsa propensione al rispetto delle regole, o dobbiamo considerare l’ipotesi che sia il sistema a essere poco adatto all’agricoltura attuale?
La novità importante, per il settore vitivinicolo, è dal 1 gennaio, quando è entrata in vigore la dematerializzazione dei registri vinicoli, in forza della quale si impone a ogni azienda del settore l’adozione di un registro telematico al posto dei vecchi registri cartacei. Nelle intenzioni del legislatore, la “scomparsa” dei 64mila registri dovrebbe rendere più agevoli i controlli sulle frodi (l’Italia è il primo Paese a dotarsi di questa misura).
A pochi giorni dall’entrata in vigore della norma, però, gran parte dei vignaioli lamenta un carico di difficoltà eccessive per una piccola azienda, con la necessità di ricorrere spesso a consulenti o a software specializzati per districarvisi e senza che tutto ciò assicuri maggior trasparenza alla filiera.
Il problema non è lo strumento, quanto la sua complessità applicativa. I produttori di vino (ma la stessa cose vale per l’olio) che trasformano quel che producono in vigna, o poco più, da sempre si trovano di fronte agli stessi adempimenti pensati per i grandi produttori e i commercianti, cioè per chi muove con frequenza quotidiana sui mercati di tutto il mondo, in entrata e in uscita, uva, vino e altri prodotti enologici.
Questo vale anche per molte altre filiere agroalimentari. Occorre adattare le norme e i regolamenti ai contesti produttivi, tenendo ben presente che la realtà italiana è fatta di molte piccole aziende, così potranno essere accettati come un valore positivo dai nostri agricoltori. E contribuire al salto di qualità della nostra agricoltura.