Non è infrequente leggere commenti offensivi e diffamanti sui social media, allorquando vengono postati o condivisi, da parte di cittadini, testate giornalistiche, enti o associazioni, degli articoli, dei comunicati, dei video o delle semplici comunicazioni di servizio.
Non molti sanno che la legislazione in proposito è molto chiara e che in alcuni casi esistono gli estremi per una denuncia per diffamazione. Il sindaco di Arzignano, Giorgio Gentilin, con il supporto della Polizia Locale Vicenza Ovest di Arzignano, interviene sul tema, dopo che alcuni internauti hanno pubblicato commenti offensivi e diffamanti nei confronti del primo cittadino e delle forze di polizia locale.
“Non mi opporrò mai al diritto di replica e di critica dei cittadini, che è un valore fondamentale della nostra democrazia”, dichiara Gentilin. “Ma non ritengo tollerabile l’insulto o la diffamazione da parte di chi, pensando di essere protetto dalla propria tastiera, si permette di commentare in maniera vergognosa questioni amministrative o riguardanti la polizia locale, arrivando anche ad augurare la morte del prossimo o diffamandolo. Questo principio, ricordo, non vale solo per il sindaco, ma per ogni cittadino”.
“Finora –continua il sindaco- le persone che si sono permesse di insultare me o le forze di polizia locale sono state ‘bonariamente’ richiamate prima di procedere per vie legali e, di fronte all’ipotesi di una denuncia, i leoni da tastiera hanno fatto ammenda, trasformandosi in agnellini e presentando le loro ufficiali scuse. Voglio ricordare però che la Polizia Locale viene spesso allertata da segnalazioni di cittadini che leggono commenti offensivi e di conseguenza esegue le dovute verifiche. Non è certamente mia intenzione impiegare le preziose forze di Polizia Locale per trasformarle in controllori dei social media, ma laddove sussistesse il reato di diffamazione o l’insulto, siamo pronti a chiamare in causa i responsabili, denunciandoli, come già da tempo fanno altre amministrazioni meno tolleranti. Non è giusto svilire il lavoro di un’amministrazione, delle forze dell’ordine o la vita di un qualsiasi cittadino con parole offensive e lesive della dignità della persona avvalendosi della presunta sicurezza e privacy della tastiera di un notebook, di un pc o di un tablet. Voglio –conclude il sindaco- che la nostra città resti un agone politico civile, nel quale si parli di amministrazione e politica come si è sempre fatto, alle volte in maniera tenace e vigorosa, ma mai al di fuori degli argini della democrazia”.
In merito alle conseguenze di un post offensivo su un social media, la polizia locale, ricorda che la Suprema Corte con la sentenza n. 50/2017 della sez. I Penale ribadisce che la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso di una bacheca “facebook” integra un’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595 terzo comma del codice penale, poiché trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone (gli estremi di tale sentenza sono facilmente consultabili proprio su internet, poiché riportata da diversi testate giornalistiche e siti di informazione giuridica).
L’aggravante dell’uso di un mezzo di pubblicità, nel reato di diffamazione, trova, infatti, la sua ratio nell’idoneità del mezzo utilizzato a coinvolgere e raggiungere una vasta platea di soggetti, ampliando – e aggravando – in tal modo la capacità diffusiva del messaggio lesivo della reputazione della persona offesa, come si verifica ordinariamente attraverso le bacheche dei social network, destinate per comune esperienza ad essere consultate da un numero potenzialmente indeterminato di persone, secondo la logica e la funzione propria dello strumento di comunicazione e condivisione telematica, che è quella di incentivare la frequentazione della bacheca da parte degli utenti, allargandone il numero a uno spettro di persone sempre più esteso, attratte dal relativo effetto socializzante (Cass. n. 24431 del 28/04/2015). La circostanza che l’accesso al social network richieda all’utente una procedura di registrazione – peraltro gratuita, assai agevole e alla portata sostanzialmente di chiunque – non esclude la natura di “altro mezzo di pubblicità” richiesta dalla norma penale per l’integrazione dell’aggravante, che discende dalla potenzialità diffusiva dello strumento di comunicazione telematica utilizzato per veicolare il messaggio diffamatorio, e non dall’indiscriminata libertà di accesso al contenitore della notizia (come si verifica nel caso della stampa, che integra un’autonoma ipotesi di diffamazione aggravata), in puntuale conformità all’elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte che ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 595 terzo comma cod. pen. nella diffusione della comunicazione diffamatoria col mezzo del fax (Sez. 5 n. 6081 del 9/12/2015) e della posta elettronica indirizzata a una pluralità di destinatari (Sez. 5 n. 29221 del 6/04/2011). – Fonte Altalex-