Dalla Scozia, Gerda Stevenson per Poetry Vicenza

Alle Gallerie d’Italia di Palazzo Leoni Montanari in contra’ Santa Corona proseguono gli incontri con scrittori, poeti e artisti per la rassegna Poetry Vicenza.Gerda StevensonMartedì 19 aprile, alle ore 18.00, il sesto appuntamento della rassegna Poetry Vicenza, a cura di Marco Fazzini, promossa da Gallerie d’Italia – Palazzo Leoni Montanari, sede museale di Intesa Sanpaolo a Vicenza, e Comune di Vicenza, in collaborazione con l’associazione culturale TheArtsBox, con il Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati di Ca’ Foscari (Venezia) e con Vicenza Jazz, propone una singolare voce da un paese che ha da poco riavuto, dopo quasi tre secoli, un suo parlamento e una sua esclusiva autonomia: la Scozia.

Paese da sempre trilingue, la Scozia annovera grandi scrittori e grandi poeti che scrivono in gaelico, scots e inglese. Gerda Stevenson, moglie di uno dei grandi poeti gaelici viventi, Aonghas Macneacail, scrive in scots e in inglese e contiene in sé tutta la musicalità che le deriva non solo da un’eredità strettamente familiare ma anche da un’intera tradizione nazionale. In lei si concentrano la liricità e la ritmicità delle migliori canzoni di Robert Burns, una vena esclusivamente autobiografica nella linea di Iain Crichton Smith e una modernità compositiva che attinge da alcuni dei grandi protagonisti della rinascita del folk scozzese nel mondo, prima fra tutti la Incredible String Band.

Gerda Stevenson è un prodigio della contemporaneità: quando recita le sue poesie fa sentire al pubblico i ritmi della Scozia sia anglosassone sia gaelica; quando canta profonde poeticità con la voce e con il corpo. Si tratta di una perfetta commistione di estro teatrale, doti canore e profondità di scrittura. Gerda Stevenson sa scrivere parimenti su di un bimbo appena nato strappato alla vita, sul fuoco e sulle fiamme del vulcano in Islanda che blocca il traffico aereo in Europa per settimane, su di un soldato di ritorno dalla guerra che gli ha cambiato per sempre amicizie e sentimenti, sullo scorrere del tempo e della giovinezza, sul genocidio di Srebrenica. La sua voce è toccante, la sua professionalità indiscussa, la sua profondità di scrittura unica.

La lettura in programma alle Gallerie di Palazzo Leoni Montanari avrà l’accompagnamento musicale del polistrumentista norvegese Kyrre Slind. Sarà di sicuro un grande evento capace di ricordare che l’onestà della scrittura, la lirica poeticità e la professionalità nello stare su un palco possono risvegliare le emozioni e i sentimenti che, molte volte, la fretta e le brutture della contemporaneità ci fanno per un attimo dimenticare.

Ingresso libero e fino a esaurimento dei posti disponibili.

Gerda Stevenson è attrice, scrittrice, regista, cantante e poeta. Si è formata presso la Royal Academy of Dramatic Art di Londra, vincendo il Vanbrugh Award. Ha lavorato per la radio e la televisione. Ha vinto, tra gli altri, il Premio BAFTA come migliore attrice nel film Blue Black Permanent di Margaret Tait, e ha ricoperto un ruolo chiave nel film Braveheart-Cuore impavido di Mel Gibson. Nel 2014 la Saltire Society l’ha nominata una delle “Outstanding Women” della Scozia. Proveniente da una famiglia di musicisti – il padre era il famoso compositore Ronald (1928-2015), la sorella Savourna è una delle migliori arpiste scozzesi, mentre la nipote Anna-Wendy è una splendida compositrice-violinista – ha di recente pubblicato un CD di sue musiche e composizioni, Night Touches Day (2014), mentre le sue poesie migliori sono riunite nel volume If This Were Real (Smokestack Books, 2013).

A disposizione del pubblico, nelle sedi che ospitano gli eventi della rassegna, un volume antologico (Poetry Vicenza 2016, Pisa: Edizioni ETS) con una scelta bilingue di testi a cura di vari traduttori, note bio-bibliografiche per ogni singolo autore, e una sezione speciale sulla Beat Generation fatta di contributi in prosa e in poesia e di materiali inediti sui protagonisti di quell’America degli anni Cinquanta.

 

COME DIRGLIELO

alla notizia della morte di mia suocera

 

Rimetto il telefono al suo posto,

la notizia adagiata all’orecchio.

Come portarla alla bocca,

farmi levatrice di parole che taglieranno

il cordone che intreccia i loro anni?

Come dirglielo?

 

Lui leva gli occhi dal giornale

come un bambino da sopra una siepe –

di lei il devoto e unico prodigo.

Riesco a sentire l’orologio sul caminetto

a duecento miglia di distanza, quel ticchettio

un pulsare nella musica dei suoi giorni:

il chiocciare sommesso delle galline sulla porta della cucina,

il gorgoglìo e il risucchio della cisterna d’acqua calda

mentre il fuoco della torba infiamma il bollitore;

il rombo dei traghetti alla punta del molo,

il gemito del vento sul versante del podere.

 

È ancora viva, fin quando glielo dirò,

ci invierà le uova la settimana prossima, come sempre,

fasciando ogni fragile ovale

tra le pieghe del Press & Journal;

la pentola con l’arrosto di domani è sulla stufa,

un omaggio allo Shabbat, quando,

come prescritto, si riposerà;

e sarà intenta a pelare patate Golden Wonders,

a scolare aringhe salate da un secchio di plastica,

i loro ventri squamati un arcobaleno nel suo palmo –

fin quando glielo dirò.

 

RITORNO A CASA

(un soldato ritorna dall’Afghanistan)

 

A casa, a casa, a casa, sul camion,

stridono le ruote con aria sinistra,

a casa, da mia madre, mio padre, dalla mia ragazza,

ma non posso più tornare a casa con il cuore,

ora che i miei amici giacciono sotto terra,

e il sole del deserto mi ha offuscato la vista,

polvere di memoria da quel fiore cremisi

a soffocare il dolore, sul campo e per strada,

no, non posso, non posso tornare a casa con il cuore

dopo aver fatto ciò che ho fatto

(gli ordini sono ordini, fai ciò che devi fare),

e aver visto ciò che ho visto:

 

oh, il sangue le sgorgava dalla pelle

come un fiore dal suo bocciolo, quel bimbo

che si unì correndo, piroettando, ridendo, strillando

alla danza della gioia di famiglia,

li facemmo saltare in aria in una pioviggine di coriandoli spettrali;

 

e ora io sono qui, a casa, sul camion,

i miei amici sotto terra, ma non posso più tornare a casa

con il cuore, ché non esiste un posto chiamato casa

se il tuo cuore è morto – non più afflitto – morto davvero

per il dolore e il peso del sangue, e cade come i fiori,

fiori cremisi, che sopprimono il dolore e soffocano la mente,

morto, morto, stridono le ruote.