Il bio, in vetta alle classifiche per l’eccellenza d’Italia

Fin troppo spesso, in questi anni di crisi, abbiamo sentito espressioni come “fanalino di coda” o “tra gli ultimi della classe” in riferimento alle performance del nostro Paese. Nel campo dell’agricoltura biologica, come in pochi altri, è vero invece il contrario. Lo confermano i dati di un report diffuso al salone internazionale del biologico di Norimberga.

I numeri, riferiti all’anno 2015, certificano l’ottimo stato di salute del bio in tutto il mondo: il mercato vale più di 80 miliardi a livello globale, con 50,9 milioni di ettari di terre coltivate (in crescita del 14,7% rispetto al 2014) e 2,4 milioni di operatori (+7,2% rispetto al 2014).

Nella classifica generale, l’agricoltura italiana spicca in positivo. Il nostro Paese è infatti al secondo posto in Europa per ettari coltivati (1,49 milioni) e per numero di produttori (oltre 52mila), con un trend in crescita del 15%. Le aziende certificate rappresentano il 3,6% del totale, per un giro d’affari di circa 3 miliardi.

Eppure la politica si muove con estenuante ritardo. Da quasi quattro anni giace in Parlamento il Testo unico sul biologico, che si conta di veder approvare alla Camera entro questo mese. Tra i suoi aspetti qualificanti (estesi anche alla biodinamica), la previsione di fondi destinati alla ricerca e alla sperimentazione e l’attenzione alla formazione degli operatori.

Sono novità a lungo attese da chi crede che l’agricoltura abbia funzione strategica nella tutela ambientale. Sostenibilità per l’ambiente e sicurezza alimentare per i consumatori restano infatti i primi obiettivi a cui improntare lo sviluppo non solo del biologico, ma dell’agricoltura in generale.

Ben vengano, a tal fine, gli incentivi economici diretti, ma non dimentichiamo che molto si può ottenere anche sul piano burocratico, semplificando e uniformando le procedure (e gli enti) di certificazione ed evitando che i relativi costi ricadano sull’azienda che vi si sottopone.

 

 

 

 

 

 

Fonte: Slow Food

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