Cresce l’occupazione femminile nelle grandi imprese del Veneto. ma permangono anche le disparità di genere: per le donne c’è più lavoro, ma più precarietà, meno retribuzione, meno occasioni di formazione. E la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, resta un obiettivo ancora lontano. E’ quanto mette in evidenza il rapporto sull’occupazione maschile e femminile nelle aziende venete con oltre cento dipendenti presentato oggi a palazzo Ferro-Fini, a Venezia, dalla consigliera di parità del Veneto Sandra Miotto, insieme all’assessore regionale al lavoro e alle pari opportunità Elena Donazzan, alla consigliera nazionale di parità Francesca Bagni Cipriani, alla direttrice del sistema statistico regionale Maria Teresa Coronella e a Stefano Marconi, direttore Ispettorato interregionale del lavoro di Venezia.
L’indagine condotta tra 1057 grandi aziende venete con più di 100 dipendenti mette in luce che l’occupazione femminile è cresciuta più di quella maschile: le donne nelle grandi aziende sono il 54 per cento della forza lavoro, ma sono le meno promosse. Nonostante abbiano in media un titolo di studio più alto – quasi una donna su tre nell’età compresa tra i 30 e i 34 anni è laureata, mentre nella stessa fascia di età solo un uomo su 5 ha conseguito l’alloro- nell’organizzazione del lavoro le donne sono ancora penalizzate: le donne sono un quinto dei dirigenti, un quarto dei quadri e in media guadagnano 100 euro al mese meno degli uomini. In Veneto la differenza di genere nella retribuzione permane anche nell’età della pensione: le donne che vivono con una pensione inferiore ai mille euro al mese sono quasi il 50%, i pensionati uomini sotto i mille euro sono il 22,5 %.
Anche nei contratti le differenze permangono: le donne (9 su 100) hanno contratti precari o a tempo determinato più degli uomini (7 su 100). Il divario con gli uomini resta alto anche nell’accesso ai vari istituti della mobilità e della flessibilità: le donne nelle grandi aziende rappresentano l’88% dei contratti part-time, il 78 per cento delle aspettative, l’82,3% degli stagionali, il 99,2% dei congedi genitoriali (nonostante esista anche la possibilità di congedo per paternità). Sono in prevalenza le donne a chiedere (o subire) le riduzioni d’orario (80%) e a non veder rinnovato il contratto alla sua scadenza (il 49,6 % delle donne a fronte del 35% dei loro colleghi maschi). E dietro questi numeri si celano licenziamenti e dimissioni volontarie, spesso dettate dalla difficoltà di conciliare occupazione e lavoro di cura, verso figli e famiglia.
Rispetto ai loro colleghi le donne nelle grandi aziende dedicano meno tempo alla formazione (16 ore in media, a fronte delle 19 pro capite degli uomini), salvo alcune eccezioni, come le attività finanziarie.
“Le difficoltà di accesso ai ruoli dirigenziali e di responsabilità, la dominanza di genere nei contratti flessibili, le disparità retributive e di formazione, le differenze significative nei percorsi di carriera – segnala Sandra Miotto – sono la cartina tornasole di una parità ancora lontana tra uomini e donne nel mondo del lavoro e nel welfare occupazionale. Nonostante importanti ricerche internazionali abbiano dimostrato che le imprese dirette da donne, o dove la femminilizzazione dei ruoli dirigenziali è alta, sono più dinamiche e hanno un tasso di crescita più elevato, a Nordest l’occupazione femminile resta confinata nei livelli meno qualificati e meno pagati. Non a caso le donne prevalgono in alcuni settori come le cooperative, e in particolare quelle sociali, la ristorazione e gli alberghi (ristorazione e alberghi (sono il 79% della forza lavoro), nella sanità e nell’assistenza sociale (75%), nell’istruzione (71,7%) e nella pubblica amministrazione (67,1%)”.
Difficoltà confermate anche dai monitoraggi dell’Ispettorato interregionale del lavoro di Venezia: nel 2015 nelle aziende del Nordest si sono dimesse volontariamente 3356 donne e 900 uomini. “Mentre l’uomo si dimette perché vuole cambiare sede, qualifica o azienda – spiega il direttore Stefano Marconi – le donne si dimettono in prevalenza per il desiderio di accudire la prole, oppure per incompatibilità tra l’occupazione e l’assistenza ai figli minori a causa dell’assenza di reti familiari o dell’inaccessibilità dei servizi o la lontananza della sede di lavoro, o per la mancata concessione del part-time. Sono i numero stessi ad evidenziare che per le donne le dimissioni non sono una libera scelta”.
“Il rapporto sull’occupazione di genere – ha concluso l’assessore regionale alle pari opportunità Elena Donazzan – traccia un programma di lavoro. In Veneto promuovere le pari opportunità significa promuovere la qualità del lavoro: non solo l’occupazione e l’occupabilità delle donne, ma soprattutto un nuovo approccio culturale e aziendale. Per questo la Regione punta ad investire, utilizzando anche la leva dei fondi comunitari, su politiche di ‘lavoro intelligente’, sul welfare di sussidiarietà, sul sostegno e accompagnamento all’imprenditoria femminile e alla promozione delle donne nei ruoli di responsabilità. Perché è dimostrato, anche da recenti ricerche condotte in Veneto, che quando l’impresa è donna è più produttiva e dinamica e riesce a sviluppare ‘buone pratiche’ di conciliazione tra lavoro e vita”.