La terra ai giovani. Obbiettivo: salvare il suolo

«Il commercio di terreni rurali non deve essere libero come il commercio di qualsiasi altro capitale, perché la terra è irrimediabile e indispensabile […]. Un equo ordine giuridico dovrebbe considerare l’interesse pubblico del terreno, molto più che nel caso di qualsiasi altra proprietà». Queste righe sono contenute in una sentenza della Corte Costituzionale tedesca del 1967. A cinquant’anni esatti da questa dichiarazione, il Parlamento Europeo ha adottato un provvedimento con il quale invita la Commissione ad adottare strumenti pratici per facilitare l’accesso alle terre ai giovani agricoltori e a considerare misure volte a «combattere la concentrazione dei terreni agricoli sviluppando misure supplementari a sostegno di micro, piccole e medie imprese».

 

Un buon proposito di cui abbiamo un disperato bisogno: dagli anni ‘70 a oggi, infatti, abbiamo già perso senza rimedio il 30% dei terreni agricoli a disposizione sulla superficie terrestre. È come se ogni anno fosse andata perduta una porzione di suolo fertile grande come l’Italia. Ogni giorno l’equivalente della città di Berlino.

Le cause sono diverse ma tutte legate alla cattiva gestione del suolo agricolo: eccessiva cementificazione, consumo delle risorse idriche, uso smodato dei fertilizzanti. Secondo il Grantham Centre for Sustainable Futures dell’Università di Sheffield, ci vogliono circa 500 anni per creare appena 2,5 cm di suolo ma la sua erosione avviene a un ritmo fino a 100 volte maggiore del tasso di formazione. È necessario, quindi, ristabilire un equilibrio e questo deve passare attraverso i consumi alimentari. Alcuni Paesi ci stanno provando: secondo l’indice elaborato dal Food Sustainability Report (realizzato da Fondazione Barilla center for food and nutrition e Milan center for food law and policy) Francia, Giappone e Canada sono le realtà dove il cibo è più buono perché è dove viene prodotto, distribuito e consumato meglio. Questi tre paesi rappresentano un esempio di agricoltura più sostenibile, in cui si spreca meno cibo e dove si adottano politiche innovative per combattere lo spreco alimentare. L’Italia, invece, si ferma alla sesta posizione in graduatori: bene il livello di emissioni di gas serra ma da migliorare ancora la parte relativa agli sprechi e all’obesità infantile.

Un altro problema delineato dal Parlamento di Bruxelles è la concentrazione delle terre in poche mani, il cosiddetto fenomeno del “land-concentration”. In Europa il 3,1% delle aziende agricole controllano il 52,2% dei terreni agricoli a disposizione. Non solo: anche «la vendita di terreni a investitori non agricoli e a holding» finanziarie è da regolare, si trova scritto nel provvedimento europeo. Ciò provoca disuguaglianza e la disuguaglianza minaccia il modello familiare dell’agricoltura: l’80% dei coltivatori europei, al di sotto dei dieci ettari, possiede appena il 12% dei terreni fertili. Le imprese più grandi, invece, detengono un quinto delle superfici utilizzabili del continente pur rappresentando lo 0,6% del totale. Una tendenza, purtroppo, in crescita: gli agricoltori di piccola scala hanno perso il 17% dei terreni coltivabili, perdita dovuta in parte all’accentramento in poche mani di terreni liberi e in parte alla degradazione dei suoli.

 

 

 

 

Fonte: SlowFood