È nell’anno 1984 che la Comunità europea introduce le quote latte. L’obiettivo? Sostenere il prezzo del latte e il reddito degli allevatori, attraverso il contingentamento della produzione e quindi dell’offerta. A distanza di 33 anni, le quote latte non ci sono più (dal 2015), gli allevamenti si sono ridotti in numero e accresciuti in dimensioni ma gli allevatori di bovini da latte fanno fatica a far quadrare i conti oggi più di allora.
Insomma, quella che gli economisti agrari chiamano razionalizzazione del settore, con la progressiva uscita delle aziende “meno efficienti”, non ha prodotto nessun miglioramento per le aziende sopravvissute (circa 1/6 rispetto a quelle presenti prima dell’introduzione delle quote). Gli allevamenti “meno efficienti” in questo caso sono quelli di minori dimensioni, magari situati in collina o in montagna e che non hanno spinto troppo sull’acceleratore della produttività a tutti i costi. Perciò abbiamo perso (in gran parte ma non tutti, per fortuna) gli allevamenti che avrebbero avuto le caratteristiche più idonee per mantenere un buon livello qualitativo del latte.
Eppure il settore ha potuto contare su innovazioni tecniche e periodici provvedimenti normativi ad hoc. Bisogna certo sottolineare che le innovazioni introdotte hanno mirato tutte, o quasi, a migliorare la produttività. Tanto che gli animali sono diventati a tutti gli effetti macchine per la produzione del latte.
Per migliorarne le prestazioni si è agito su tutte le leve possibili, con le formule matematiche per il calcolo delle razioni alimentari fino ad arrivare a farli muovere il meno possibile per non sprecare energia che invece doveva essere concentrata tutta per la produzione. In questa perenne corsa alla produttività il livello qualitativo del latte è sceso inesorabilmente.
Non si è mai tentato, invece, di far emergere le differenze qualitative esistenti nel mondo della produzione del latte bovino, dovute all’alimentazione, alle zone di produzione, alle tecniche di allevamento, alle razze, allo stato di benessere degli animali e tanto altro ancora. Nella sostanza non si è mai messo in piedi un meccanismo che facesse emergere in modo significativo le produzioni migliori sotto il profilo qualitativo. Del resto alle potenti industrie del settore fa troppo comodo che il latte resti una “commodity”, un bene indifferenziato, per poter continuare a dettare il prezzo agli allevatori.
Per questi motivi riteniamo fondamentale affermare prima di tutto il concetto che il latte non è tutto uguale, che ci sono dei fattori della qualità a fare la differenza e questi fattori devono essere raccontati, in modo chiaro e comprensibile. Con le Linee Guida per la selezione dei produttori di latte alimentare vaccino vogliamo provare a dare forza a quegli allevatori che non si sono piegati a un sistema produttivo che ha prodotto i disastri appena descritti, nella speranza di restituire dignità al loro lavoro e possibilità di scelta ai consumatori.
(Fonte: Slowfood)