La Regione Veneto è oggetto di ben 34 ricorsi da parte di soggetti pubblici e privati sul tema Pfas. E’ stato evidenziato oggi dall’assessore all’ambiente della Regione del Veneto Gianpaolo Bottacin facendo il punto sui contenziosi aperti in sede amministrativa e civile sulla delicata vicenda delle sostanze perfluoro-alchiliche, insieme al sindaco di Trissino (il comune vicentino in cui ha sede l’azienda Miteni) Davide Faccio e al direttore generale di Arpav Nicola Dell’Acqua.
“Dal 2013, anno della segnalazione del problema PFAS, la nostra Regione è stata l’unica in Italia che si è attivata immediatamente, sostituendosi spesso allo Stato, per avviare il monitoraggio delle acque di falda utilizzate a scopo idropotabile e che ha messo in atto tutte le azioni necessarie per la salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini. Ma il paradosso è che in questa nostra azione siamo stati finora oggetto di ben 34 ricorsi, da parte di soggetti pubblici e privati che ci contestano di aver fatto o troppo o troppo poco. Nelle regioni in cui non è stato fatto nulla, nonostante la presenza di questi inquinanti, nessuno ha mosso obiezioni”.
Al momento sono 27 i ricorsi presentati al TAR Veneto, 5 al Tribunale Superiore delle Acque, un giudizio al Tribunale Civile di Padova e uno al Tribunale Penale di Venezia. Il ricorso più recente è quello di Miteni che evidenzia danni per 98 milioni di euro asseritamente subiti dai provvedimenti relativi alla definizione delle problematiche ambientali nell’area dell’azienda.
“Come Veneto siamo ora presi a modello – ha detto l’assessore – ma siamo stupiti che di una problematica tanto delicata se ne parli come se esistesse solo in Veneto e ci poniamo anche altre domande: cosa stanno facendo le altre Regioni? Cosa fanno le associazioni ambientaliste nelle altre Regioni? Cosa fanno i Ministeri competenti?”.
Da parte sua il sindaco di Trissino ha evidenziato che la situazione sul piano dei contenziosi ha in sé qualcosa di surreale. “Noi però con il supporto della Regione e dell’Arpav – ha aggiunto – riteniamo di avere il dovere morale di far luce su questa vicenda e di dare risposte ai cittadini, operando nel rispetto delle normative, anche se manca a livello nazionale l’indicazione di limiti per la presenza di Pfas nelle acque. Nonostante i ricorsi non arretreremo di un millimetro”.
Il direttore generale dell’Arpav ha fatto presente che finché si è trattato di dare indici sanitari per l’utilizzo dell’acqua potabile non si sono registrate obiezioni, che sono state sollevate invece nel momento in cui sono stati posti indici di carattere ambientale andando a toccare i privati. Ha poi confermato che con l’utilizzo dei filtri sugli acquedotti si è arrivati a zero Pfas nelle acque della zona rossa. Questi filtri vanno però sostituiti ogni due mesi con un costo elevato (2-3 milioni annui). Per questo è stato richiesto lo stato di emergenza che consentirebbe di sbloccare i fondi – finora solo annunciati – e poterli spendere in maniera rapida per realizzare nuovi allacciamenti per portare acque pulita nelle zone inquinate.