Vi siete mai chiesti cosa abbiano in comune gli animali che l’uomo alleva da millenni? La risposta è forse più semplice di quanto immaginiate: si tratta da sempre di specie non carnivore, cioè che non richiedono l’allevamento di altri animali per il proprio sostentamento. Questa una ricerca pubblicata da Slow Food.
Questo però non succede in mare, dove l’acquacoltura promuove il consumo di massa di quattro specie ittiche di predatori: orata, rombo, spigola (o branzino) e salmone.
Vogliamo parlarvi soprattutto di quest’ultimo, un po’ perché si avvicina il Natale , un po’ perché è un simbolo dell’assurdità dell’intero sistema alimentare. In media, 100 kg di salmone richiedono 25 kg di farine di pesce. È un dispendio enorme di risorse per il mare nonché una minaccia per la nostra salute: spesso, ad esempio, ai mangimi viene aggiunto endosulfano, un insetticida che Unione Europea e Stati Uniti hanno bandito. Ancora più incredibile il fatto che i salmoni vengano letteralmente colorati. In natura le loro carni assumono la tonalità rosea con cui le conosciamo solo nel periodo riproduttivo, quando i salmoni si nutrono di crostacei. Pensate che esiste addirittura un pantone apposito, ovvero una gamma di colori dove ogni industria può scegliere la sua varietà di «rosa salmone».
Per fortuna, le alternative ai pesci-bistecca esistono eccome. Anche sul piano nutritivo: in mezzo chilogrammo di sarde troviamo più omega 3 che in una quantità corrispondente di salmone. Mangiando molluschi bivalvi, oltre agli omega 3 si assimilano oligoelementi e minerali che la carne di salmone allevato non possiede. Capesante, cozze, ostriche, vongole e le specie affini possono quindi essere un’ottima alternativa al salmone.