Dal diffondersi incontrollato sul web di notizie prive di basi scientifiche i consumi di latte fresco in Italia hanno subito un calo del 2,1%. Un conto pesante per l’alimento base della colazione tricolore. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base dei dati Ismea relativi al terzo trimestre del 2019.
Non va meglio fuori dal nostro paese, negli Stati Uniti addirittura si “piange sul late versato” dopo che i due più grandi produttori sono falliti a distanza di pochi mesi. E’ il caso di Borden Dairy, il secondo produttore di latte Usa, che non è riuscito a salvare i suoi 163 anni di storia e un fatturato di 1,18 miliardi di dollari dalla bancarotta. A novembre anche Dean Foods, numero uno del settore negli Stati Uniti, aveva presentato istanza di fallimento.
Si ritiene che i suoi guai di entrambe le società siano legati al calo dei consumi di latte, all’aumento dei costi del latte crudo, all’aumento dei costi di trasporto e alla concorrenza crescente dei rivenditori che si stanno associando con altri commercianti.
I debiti di Borden Diary includono 255,8 milioni di dollari di prestiti garantiti e 33,2 milioni dollari di pendenze con un fondo pensione. Gli azionisti di maggioranza di Borden sono Acon Investments e Laguna Dairy. La società aveva avuto colloqui con i creditori per un accordo di ristrutturazione, ma l’intesa preliminare che la società aveva raggiunto con i suoi finanziatori è scaduta lunedì scorso. “Sfortunatamente, le parti non sono state in grado di portare a termine una ristrutturazione extragiudiziale”, ha dichiarato il direttore finanziario di Borden Jason Monaco.
In Italia calano i consumi, Coldiretti diffida dalla mala informazione
Ogni anno si producono in Italia 11 milioni di tonnellate di latte di mucca, 500 mila tonnellate di latte di pecora, oltre 200 mila di latte di bufala e 60 mila di latte caprino ma nonostante la piramide alimentare preveda un consumo di 2-3 porzioni al giorno, si registra una flessione dovuta ai problemi della natalità e alla diffusione di stili alimentari alternativi, ma non solo.
Anche in Italia infatti gli acquisti sono influenzati negativamente dalle false informazioni divulgate in rete secondo le quali il latte sarebbe dannoso perché è un prodotto destinato all’accrescimento di cui solo l’uomo, tra gli animali, si ciba per tutta la vita. In realtà – sottolinea la Coldiretti – il latte di mucca, capra o pecora rientra da migliaia di anni nella dieta umana, al punto che il genoma si è modificato per consentire anche in età adulta la produzione dell’enzima deputato a scindere il lattosio, lo zucchero del latte. Il filone di pensiero che ritiene opportuno bandire i latticini dall’alimentazione poggia – spiega la Coldiretti – sul China Study, un’indagine epidemiologica svolta a partire dal 1983 in Cina, i cui risultati sono stati ritenuti inattendibili dalla comunità scientifica e dall’’Airc, l’Associazione italiana per la ricerca sul cancro.
Tra le falsità è che bevendo latte si ingeriscono sostanze inquinanti e ormoni (tra l’altro vietati su territorio nazionale come in tutta Europa) mentre invece anche i derivati caseari come yogurt, formaggi e burro sono assolutamente sicuri e salubri perché soggetti a rigidi controlli. Oppure il rischio di osteoporosi perché il latte “ruba” calcio allo scheletro, quando si tratta dell’esatto contrario. I falsari dell’informazione – aggiunge Coldiretti – sostengono poi che il latte sarebbe nemico del cuore e delle arterie mentre proprio il suo consumo influisce positivamente su ipertensione e diabete.
In Italia sono circa 12 milioni le persone che usano bevande vegetali per un consumo sotto gli 85 milioni di litri all’anno – spiega la Coldiretti su dati Iri – la soia rappresenta da sola circa il 48 per cento del mercato mentre il resto riguarda preparati a base di riso, mandorla, avena, cocco e farro. Questi prodotti – evidenzia la Coldiretti – hanno il colore e la consistenza del latte, ma non ne hanno le caratteristiche nutrizionali e organolettiche. In commercio ce ne sono di diversi tipi e nel 2016 sono entrati ufficialmente nel paniere dei consumi Istat. Si tratta però di bevande che non hanno gli stessi elementi nutrizionali del vero latte – sottolinea la Coldiretti – se quella a base di riso si caratterizza per un apporto di zuccheri eccessivo, quella di soia non ha lo stesso livello di proteine del latte animale. Inoltre ci sono delle differenze anche in termini di micro-nutrienti, come vitamina D e ferro.
Nel giugno del 2017 – conclude la Coldiretti – la Corte di Giustizia europea si è pronunciata sul fatto che “i prodotti puramente vegetali non possono, in linea di principio, essere commercializzati con denominazioni, come ‘latte’, ‘crema di latte’ o ‘panna’, ‘burro’, ‘formaggio’ e ‘yogurt’, che il diritto dell’Unione riserva ai prodotti di origine animale” anche se “tali denominazioni siano completate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione”. Fa eccezione solo il latte di mandorla.